Vi ringrazio veramente tutt* per aver votato a furor di popolo, le donne nella psicanalisi come protagoniste della prossima “puntata”. Terminato quest’articolo, mi abbozzolerò quindi nella mia poltrona, per uscirne probabilmente anziana, ingobbita, quasi cieca e, certamente, psicologicamente traumatizzata dalla lettura di una pila inesauribile di volumi scritti da autorevolissimi uomini bianchi, che dicono cose sulla mamma.
Mapprima. Non avevo finito con Shakespeare.
Non finirò mai con Shakespeare e probabilmente, se avrò la fortuna di invecchiare, reggerò con le mie manine raggrinzite tutti questi libri, sorridendo di una trentenne ingenua.
E’ che prima di andare avanti, bisogna parlare ancora un attimo di Desdemona, perché per quanto ci si è ormai arrivati in tanti, non ci si è arrivati abbastanza.
Gloria tiene un laboratorio online dal titolo Shakespeare tra l’imbarazzo e la Tragedia e seguire alcuni dei percorsi che stanno nascendo da questo lavoro con la sua “classe”, è illuminante. Si deve fare che ve ne parlo, delle cose che mi hanno aiutata a capire.
La tragedia si chiama Otello.
Otello è l’unico protagonista shakespeariano non bianco, ed è l’unico protagonista uomo che uccide una donna, direttamente e volontariamente. Beccati questa.
Prima di partire si deve fare una precisazione sul termine “moro” usato per descrivere Otello, perché è un termine che anticamente aveva una connotazione ben precisa che serviva a descrivere i popoli musulmani che abitavano in particolare la penisola iberica e la Sicilia, provenienti originariamente dalle regioni del Maghreb. Shakespeare non specifica la religione di Otello né il suo paese di nascita, ed è anche noto che la sua conoscenza della cultura sud europea fosse alquanto approssimativa (basti pensare ai numerosi viaggi in nave tra Milano e Verona, o Padova che affrontano i suoi personaggi), infatti anche in questo caso, l’identità black che Otello ha assunto nell’immaginario collettivo, risalta piuttosto esplicitamente durante la lettura, per via dei numerosi riferimenti che egli stesso fa, oltre agli altri, rispetto alla tonalità della sua pelle, non delineando nessun legame semantico col termine “moro” come indicato sopra.
Su questo tema, la critica anglosassone è assai più concisa della nostra nell’affermare che no, non è indifferente il fatto che Otello non sia bianco. Non è un mero espediente narrativo, non è un vezzo che Otello sia uno straniero che per sopravvivere deve integrarsi in una cultura colonialista. E non è escludibile dalla narrazione che viva nella necessità di essere considerato in base ai propri meriti, invece che al colore della sua pelle. Inoltre, approcciandoci oggi a questa storia, non possiamo non tenere conto degli innumerevoli episodi di esclusione, razzismo e blackface ai quali ha dato vita il suo personaggio, interpretato per la prima volta da una persona di origini afroamericane, Ira Aldridge, solo nel 1833. Tutto in questa narrazione, dalla scelta delle parole alle necessità sceniche, indica e spinge a confrontarsi con il macrotema del razzismo.

Infatti, come abbiamo detto nel primo articolo, Otello non è una storia d’amore, non è un trattato psicologico sulla meschinità della gelosia, non è un simposio della passione. C’è poco di tutto questo nella faccenda, che è invece un’analisi piuttosto accurata, della potenza violenta del razzismo e degli stereotipi: se Otello fosse stato venesian, sarebbe stato Romeo, o Petruccio, e avrebbe vissuto altre vite.
E’ la presenza di Desdemona ad essere funzionale, pratica, pura edilizia narrativa: Desdemona è il chiodo, Otello è il quadro. Non è la loro storia.
La storia va così: Otello è un “militare” d’alto rango, un uomo di polso e di responsabilità, che lavora sodo al servizio della Repubblica Veneta. Non è un nobile, non è un privilegiato di nascita. Otello di nascita è un “moro”, e in quanto tale, in passato è stato vittima della tratta di esseri umani: Otello un tempo, è stato catturato e venduto come schiavo.
Otello, oggi, ha trovato il suo riscatto, rendendosi baluardo della cultura colonica, e proprio a lui, viene affidato il compito di guidare l’esercito veneziano nella battaglia contro i Turchi: contro “gli invasori”, contro “lo straniero”.
Il suo aspetto e la sua esperienza lo rendono nella Venezia del 1500, un soggetto “curioso”, qualcuno da cui farsi intrattenere, basta che non ti diventi genero. E così va la storia: nella più solida tradizione del “io non ho niente contro quelli come te”, il padre della giovane e bella Desdemona, un eminente senatore veneziano, ama farsi sollazzare dai racconti avventurosi del “moro” come noi facciamo con Netflix, quindi lo invita a cena, per dei caffé. Lo fa spesso, sottolinea Otello a pagina 37 dell’edizione Feltrinelli:
“e sempre mi chiedeva la storia della mia vita […] Desdemona era ansiosa di ascoltare queste cose, ma le faccende domestiche la tenevano lontana.”
Non mi dire. Quindi Desdemona sbrigava il più in fretta possibile tutte cose, per correre a farsi raccontare la sua storia. Otello di questo ci dice:
“Avrebbe desiderato non averla ascoltata, e insieme che il cielo avesse fatto di lei un simile uomo […] Lei mi amò per i pericoli che avevo corso, e io l’amai perché ne aveva compassione.”
Ho l’impressione che sia tutto qui, quello che serve per comprendere la storia di due che, liberi, forse nemmeno si sarebbero presi un caffé insieme, impegnati a fare altro.
Invece, in un periodo di tempo che non ci è dato sapere ma presumibilmente non lunghissimo, queste due persone che non possono andare a cena, frequentarsi, conoscersi un po’, prendersi dei caffé, ubriacarsi e fumarsi delle siga parlando fino all’alba, o fare del sesso per capire se esiste un qualche tipo di intesa tra loro, fanno l’unica cosa che era concessa a chiunque: contraggono regolare matrimonio.
Decidono di farlo in segreto perché nel caso non vi fosse chiaro, Otello non è bianco.
Jago entra in scena qui. Jago è l’alfiere di Otello, un suo sottoposto, anzi, il sottoposto del luogotenente di Otello, che si chiama Cassio. Jago mirava al posto di Cassio, ma Otello sceglie diversamente. Aggiungiamoci che giungono all’orecchio di jago, certe voci secondo le quali Otello se la farebbe con sua moglie, Emilia…se sia vero o no, non è dato saperlo, ma come abbiamo già visto accadere nelle opere di Shakespeare, una voce di corridoio basta e avanza per scatenare l’ira funesta.
Infatti Jago è IL CATTIVO. Uno dei più cattivissimi di Shakespeare. Jago è l’odiatissimo, Jago provoca repulsione, ribrezzo. Jago fa schifo.
Solo che Jago, in realtà, non fa niente. Jago parla. Sussurra all’orecchio, sparla alle spalle, di nascosto, sotto voce. E’ un doppiogiochista che non dice mai la verità, a nessuno. Jago oggi, sarebbe un troll, un hater da tastiera. E come fanno gli haters, scova il punto “morbido” e ci infila lo spillone.
Lo fa subito con Brabanzio (vi sfido a ripeterlo velocemente a voce alta)il padre di Desdemona: corre a svegliarlo nel cuore della notte, gridandogli dalla strada che “il vecchio caprone nero, sta montando la sua pecorella bianca”.
Si, fai pure, prenditi un minuto. Anche perché, te lo dico subito: NON ERA VEROOOO!!!! Otello e Desdemona non consumeranno mai il loro matrimonio: tra attacchi d’ira, partenze per mare, guerre da combattere, e femminicidi, non troveranno mai il tempo, e Desdemona morirà vergine. Casta e pura. Illibata. Immacolata.
Eccoti un carlino:

Andiamo avanti.
Primo patatrac. Seguono pagine di epiteti magistrali in cui Brabanzio si fa portare dal Doge in persona nel cuore della notte, perché gli sta partendo l’embolo che la figlia se la fa col “labbrone”. Per non saper né leggere né scrivere, quindi lo accusa di stregoneria, perché solo così, la fanciulla avrebbe potuto cadere nella sua trappola.
La stregoneria è tradizionalmente dono del femminile, ma in questo caso facciamo un’eccezione e le dedichiamo un minuto, perché dobbiamo tenere presente che quelli in cui Shakespeare scrive del “moro” sono secoli di quasi totale analfabetismo, e in cui anche tra i più “facoltosi” la religione è la lente attraverso la quale leggere i fatti del mondo. L’inquisizione è l’ultima moda, e le chiese sono per la gente il tempio della sapienza, il rifugio dai mali e dalle paure, insomma il loro Google. Non sono come le vediamo oggi le chiese, nuda pietra con appesi dei crocefissi o dei quadri rovinati dal fumo delle candele, ma sono traboccanti di colore, completamente ricoperte di immagini, affrescate di stimoli e messaggi, non c’è uno spazio vuoto, non puoi guardare da nessuna parte senza ricevere un monito…come Instagram. E tutte queste immagini ti ricordano di non cedere alla tentazione, al peccato, di rifuggire demoni e diavoli, spaventose figure antropomorfe dalla pelle…nera.
Ecco, diciamo che oltre la faccenda della tratta degli schiavi, alla situa di Otello aggiungerei lo stereotipo interiorizzato dai bianchi che lo circondano.

Insomma, per questa situazione del padre di Desdemona dal Doge che sveglia tutta Venezia nel cuore della notte per via del loro matrimonio, Otello ci sta da culo, ma l’amore trionfa: la scena finisce che lo spettatore prende le parti del “moro” insieme agli altri personaggi, Brabanzio ne esce malissimo, Jago si defila, e gli amanti sono liberi di iniziare la loro vita insieme. Evviva!
Ah, dov’è Desdemona dici?
Desdemona c’è, parla per la prima volta a pagina 41, unica donna in una scena in cui un manipolo di maschi discutono del suo futuro e della sua verginità. A pagina 41 parla per la prima volta per dire al padre, come Cordelia in Re Lear, che il suo cuore si divide in parti dovutamente uguali, tra lui e il marito (non ne resta per lei, o per altro), e che Otello la ama, non l’ha stregata. Questo resterà l’unico atto di indipendenza della vita di questa donna, che sta per finire. Il padre dunque la ripudia, e lei si ritrova sola con un uomo che conosce appena, e che la mette su una nave da guerra la prima notte di nozze assicurando a tutti che non lascerà che la sua presenza lo distragga dalle sue responsabilità.
Insomma, perché Jago ha fatto quello che ha fatto? Che problema ha?
E’ un mentecatto. E’ un debosciato mentale, probabilmente con qualche patologia che oggi lo renderebbe ministro. Uno che non ce la fa, ma che non vuole che ce la facciano gli altri, men che meno un “moro” che lo comanda, che è venuto a rubargli il lavoro e le donne…
Uno che chiunque dotato di un poco di lucidità, si scrollerebbe di dosso velocemente. Ma Otello no. Perché?
Perché Otello, essendo un “moro”, uno straniero, non ha ancora acquisito sufficiente padronanza della sua seconda lingua, per comprendere le sfumature dialettiche che ci avvicinano o ci fanno dubitare di qualcuno. Shakespeare glielo fa esternare spesso nel testo il desiderio di esprimersi più fluentemente, di essere più “bianco” nei modi, nel linguaggio, nell’aspetto persino. E’ un’ossessione per lui: la sua esistenza intera è stata definita dal colore della sua pelle, è stato punito, umiliato, mortificato per questo, fino a renderlo insostenibile a sé stesso. Otello si odia, e Jago insisterà su questo fino alla tragedia. Questa è la storia del colonialismo, del segregazionismo, dell’aparheid. Ed è proprio insinuando che Desdemona lo tradisca con un uomo bianco, l’uomo per “natura giusto per lei”, “superiore”, che Jago entrerà definitivamente nelle convinzioni di Otello.
Abbiamo quindi due uomini, Jago e Otello, con turbe profonde, gravi problemi di identità, accettazione e gestione delle emozioni, entrambi ambiziosi, arroganti, aggressivi. Il frutto perfettissimo di patriarcato e white power.
Chi mai sarà a pagarne le conseguenze? Tutti in realtà, come sempre quando ci sono di mezzo mascolinità tossica e razzismo. Infatti muoiono o finiscono al gabbio per la vita.
Solo che Desdemona non c’entrava proprio nulla.
Quei due potevano prendersi a cazzotti fino a farsi fuori e bella lì, invece paga Desdemona. Potevano parlarne, invece mettono in mezzo Desdemona. Otello poteva far spallucce e rinvigorirsi dell’amore di Desdemona, chiederle, arrabbiarsi e poi fare pace, arrabbiarsi e lasciarsi, scoprire che non l’aveva tradito e chiederle scusa, e farsi aiutare a gestire la rabbia. Invece la ammazza. E lo fa con premeditazione, non “per impeto”, una premeditazione che dura decine di pagine, lunghissima, approfondita, ponderata. La picchia anche, prima di strozzarla, e alla fine infierisce sul corpo perché lei non muore subito, rantola, agonizza.
Jago è uno stronzo schifoso. E’ la feccia dell’umanità. E Otello è un assassino. Che come tutti gli assassini aveva dei problemi gravi, ma come tutti gli assassini, poteva non farlo ( se non l’avete visto vi vi consiglio Mindhunter ).
Invece, senza mai dubitare del suo alfiere…si lascia convincere del tradimento della moglie. Non ha manco bisogno di grandi prove, succede piuttosto in fretta e piuttosto goffamente, perché Otello, oltre ai suoi problemi, come tutti gli uomini shakespeariani non ha un’idea realistica della donna, non ne ha un’idea concreta. Ne ha un’idea stereotipata che senza sfumature precipita dall’angelo alla puttana. Inumana e disumanizzante. In più lui, questa donna non la conosce, il loro rapporto non ha goduto di condizioni sociali tali da potersi sviluppare in una conoscenza concreta, esattamente come Romeo e Giulietta, e temo la maggior parte delle persone che all’epoca convolavano a nozze. Non hanno avuto il tempo di instaurare una dinamica di fiducia.
Otello non arde d’amore, non è geloso, non è appassionato. Otello entra in un vero e proprio loop maniacale che lo porta a perdere il dato di realtà: si convince che la donna che ha sposato lo tradisca a causa del suo aspetto, che lo faccia godendone, ridendo di lui. E questa è la causa del femminicidio. Tutti. Ogni giorno. Da sempre. Per questo lo chiamavamo delitto d’Onore.
Desdemona, dal canto suo, appena lo vede arrabbiato, inizia a scusarsi. A caso. Lui è arrabbiato, e lei si scusa. Non sa perché, lui non glielo dice per molte pagine. Ma le hanno insegnato così: ad annullarsi, a compiacere, a sorridere per scongiurare il peggio. E più lei si scusa, più lui la insulta, la prende anche in giro, in un circolo di violenza senza soluzione di continuità in cui l’abusato, abusa di qualcuno ancora più debole, ancora più emarginato, che di fronte alla sua ira non ha alcuna possibilità di rivalsa.
E così Desdemona la perdiamo. Lei, come tutte, non ha storia se non quella legata al padre prima, e al marito poi. Alla loro arroganza, alla loro follia, alla loro violenza. Una figurina sbiadita che sognava viaggi e avventure, che viene cancellata non per amore, non per passione, ma per sfogo, per rivalsa. Per il risvolto folle di dinamiche razziste e machiste senza limiti sociali, senza contenimento, buon senso, o “senso comune”. Senza educazione.
Tutti uccidono Desdemona. Tutti sono colpevoli. Suo padre, suo marito, Jago, I Dogi, i soldati, le amiche che non sono intervenute per paura di essere uccise a loro volta.
E tutti uccidono Desdemona ancora, ogni volta che parlano d’amore.
Si perché, alla fine, quando scopre che Desdemona non l’aveva tradito, Otello si uccide e quindi tutto a posto. Vedi che l’amava? Poverino. Jago merda. Applausi.
Resta, troppo spesso, taciuta, l’idea sommessa che se lei lo avesse davvero tradito…in fondo, che non lo capisci uno che arde di passione?
No, raga. Basta. Quello non è amore. L’amore è felice, è triste, fa male, ma una cosa non fa, proprio quella, farti ammazzare la gente. Se ardi di passione, lo fai solo se lei/lui ride. Non se agonizza lentissimamente tra le tue mani, con i capillari degli occhi che scoppiano riempiendoli di sangue, e le labbra che diventano viola. Brutto a pensarci, eh?
E’ necessario parlare di tutto questo perché, l’ho già detto ma abbiate pazienza perché continuerò, le bambine e i bambini crescano chiamando le cose col loro nome: la violenza e l’amore.
Con Otello, Shakespeare ci grida il potere dello stereotipo razzista. La forza distruttiva della parola. Per farlo, come sempre, sacrifica l’umanità della donna. Per questo, con i mezzi che abbiamo oggi, insieme all’essere un prezioso trattato sul razzismo, sulle sue dinamiche subdole, e sulle sue derive violente come una specie di American History X elisabettiano, questa storia potrebbe esserci spunto di comprensione della storia della donna, delle origini della disparità di genere, del discorso d’odio, della misoginia, delle discriminazioni.
Per Shakespeare il femminicidio è un espediente narrativo plausibile, giustificabile, è un delitto d’onore. Nell’ottica cinquecentesca del suo racconto, lo spettatore incline al razzismo, si sente in colpa per il dolore di Otello e ne vede così l’umanità.
Ovviamente oggi le dinamiche narrative sarebbero diverse…lo sarebbero, vero? A nessuno verrebbe più in mente di giustificare un femminicidio, col dolore di un marito, giusto?…
Insomma, Shakespeare lo salutiamo con Desdemona. Magari ci torneremo, magari no. Se avete domande o questioni di ogni tipo, c’è un Instagram che è sempre con me, e al quale mi potete scrivere. Vi leggo e vi rispondo più che felicemente.
Ora, come vi dicevo all’inizio, vado a chiudermi nella lettura dei pilastri della psicanalisi, o psicoanalisi, dipende a chi lo chiedi. Ci vediamo…tra un po’.
State felici, e fatevi trattare bene.
