Ma che cos’è questa robina qua?

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Ciao. Occhei…adesso ti dico due cose così ci presentiamo…

Le Vostre Eroine è un diario. E’ un quaderno di appunti. Forse è una storia.

Una storia di mondo, guardato attraverso gli occhi di due trentenni. 

Donne. 

Non alla Sex And The City. Nemmeno alla Jane Austen. 

Due persone. Di trent’anni. Femmine.

Due persone di trent’anni, femmine, che per mestiere scrivono, e che quindi si trovano ogni giorno, a confrontarsi con tutta quella mole di esempi, storie, e testi, che la nostra società ha chiamato Classici in quanto riflettono l’essenza delle cose, e delle persone.

Classici. I cui AUTORI. SONO. TUTTI. MASCHI. 

Maschi che, mentre le leggi della morale e dello Stato, confinavano le loro madri, sorelle, amiche, fidanzate, mogli e figlie, ad una vita di sugna e merletti, si sono scoperti per secoli…millenni in verità…liberi produttori di sfrenate fantasie senza contraddittorio: autori di eroine dipinte, raccontate, scolpite, cantate, psicanalizzate…inventate. 

Le vostre eroine. Le loro.

Penelope, Giulietta, Desdemona, l’isterica Freudiana, la patetica Loweniana, ma anche Lisbeth Salander: ci hanno insegnato a chiamarle Ero-ine, e a prenderne esempio, ad imparare da loro. 

A noi è successo che, un giorno qualunque dei nostri trent’anni, leggendo e rileggendo alcuni dei testi più eleganti e ricchi di introspezione della produzione classica occidentale, ci è piombata addosso come un quadro che si stacca dal chiodo, la domanda:

Ma…chi sarebbero state le nostre nonne…chi sarebbero state le nostre madri, se tutte queste eroine, non fossero morte solo per amore, solo per i figli, per i padri, per i regni dei padri, dei mariti?

E chi saremmo noi, se non ci mettessero un bambolotto tra le braccia, ancora prima di iniziare a camminare? 

Se anche in noi, capelli bianchi e pancetta suscitassero fascino e autorevolezza?

Se avessero lasciato che fossimo noi a scriverle, le nostre eroine?

Porci questa domanda ci ha aperto orizzonti nuovi nei confronti di alcune delle più salde certezze che credevamo di avere: una pensa di conoscere un Classico, e invece…

Non che capiti di arrivarci tutte sole in pole position a questo tipo di ragionamenti.

Negli ultimi tempi, grazie a luminose novità sul piano della visibilità femminile come Michelle Obama, Kamala Harris, e…daje che tra un pochetto ne avremo altre da aggiungere, ha cominciato a circolare un hashatg: #representationmatters

LA RAPPRESENTAZIONE CONTA. Devo ammettere che questa cosa, nonostante i miei 34 anni, di cui molti dedicati a studi universitari buttati al vento per la pigrizia di finire gli esami, mi è piombato addosso come il quadro di prima: SBRAM! Ecco cos’era che mi rimaneva sempre lì, tra gola e stomaco come un’ovosodo che non riuscivo a spiegare: la rappresentazione.

FERMI TUTTI.

Quando ero piccola, come storia della buonanotte, i miei genitori mi leggevano Shakespeare…si, lo so che non è normale, ma da vicino nessuno lo è. Ad ogni modo, questo ha fatto sì che crescessi convinta che verso i 13 anni, la mia esistenza si sarebbe in qualche modo risolta e giustificata grazie all’incontro con un complesso ma seducente essere maschile, che me ne avrebbe forse fatte passare di ogni, ma del cui amore, non avrei mai dovuto dubitare.

A 13 anni, invece mi sono “innamorata” di Winona Ryder senza sapere come chiamare la cosa che sentivo. Così mi forzavo a fantasticare su amici, vicini di casa, e compagni maschi, per i quali non provavo interesse e faticavo a nasconderlo. Doverlo fare mi metteva in difficoltà, era frustrante, e mi rendeva fredda e sgradevole.

Ci ho perso tantissimo tempo. Tanto, tantissimo tempo, a cercare di capire cosa non andasse in me, perché non riuscissi mai ad assomigliare alle rappresentazioni sacre da letture estive della scuola dell’obbligo.

Niente non andava. Mancava la narrazione, la rappresentazione di qualcosa che mi somigliasse. Ma non ci sono arrivata prima a capirlo, perché la loro bellezza, il timore reverenziale, e la sacralità che attribuiamo ai Grandi Classici che sono alla base della nostra cultura, mi impedivano di ammettere che…semplicemente…quando pretendiamo di raccontare qualcosa che non siamo, per quanto talentuosi, ci tuffiamo nello stereotipo.

Stereotipo: “opinione rigidamente precostituita e generalizzata, cioè non acquisita sulla base di un’esperienza diretta e che prescinde dalla valutazione dei singoli casi, su persone o gruppi sociali.”

Ma quindi…se gli uomini si sono raccontati per secoli in tutte le loro sfaccettature, facendo di noi perlopiù un mucchietto di stereotipi…quando poi tutta sta roba si è fatta Cultura, e si è fatta società, e si è fatta educazione ed insegnamento…quanto di questo si è fatto in noi difficoltà e paura? Quante delle difficoltà e delle paure che abbiamo in quanto donne, arrivano allora dal nostro cercare di rispecchiare qualcosa che non siamo?

Quanto, del divario e della violenza di genere, deriva dal fatto che alla base della nostra cultura, esista un linguaggio che ce li insegna come normali? A volte, persino nobili…

Ecco, allora, qui, in questo posto, io, Giulietta Vacis, con l’aiuto di Gloria Giacopini, vorremmo provare a far risparmiare tempo ad altre, e cominciare a scardinare qualcuno di quei miti e di quelle credenze relative al nostro sesso, così meravigliosamente imbastiti da secoli di sopraffina letteratura maschile, nella speranza che ci pesino addosso sempre meno, permettendoci di avanzare più velocemente.

Benvenutə !